Compatte fuori dal coro

Il mercato delle compatte ha ormai subito un’evoluzione simile a quello dei cellulari. Il rinnovamento dei modelli avviene ad un ritmo sempre più sostenuto ed ogni pochi mesi assistiamo alla presentazione di sempre nuovi modelli con sempre più megapixel, più volti e sorrisi riconosciuti automaticamente e più colori disponibili per il rivestimento esterno.

E’ sempre più difficile quindi tenere dietro a questa evoluzione e non ne vale nemmeno la pena, tanto le loro prestazioni sono tutte abbastanza simili: sensori estremamente piccoli (di solito da 1/2.5″ equivalenti a 5,75×4,31 mm, cioè 1/35° della superficie di un sensore fullframe) che provocano un elevato rumore alle alte sensibilità, profondità di campo elevata, dovuta alla cortissima lunghezza focale degli obiettivi necessari per coprire le piccolissime dimensioni del sensore, e impossibile da ridurre se si vuole, per esempio, isolare i soggetti dallo sfondo, assenza di un mirino ottico lasciando per inquadrare solo display assolutamente invisibili in pieno giorno, una elevata lentezza operativa  e una qualità globale di immagine assolutamente insoddisfacente e non modificabile in quanto quasi tutte salvano le immagini solo in jpeg.
Ma perchè si è arrivati a questa situazione? Vediamo come si sono originate ed evolute le attuali compatte digitali.
Prima dell’era digitale il mercato delle compatte era piuttosto fiorente e dinamico. Tutte ovviamente usavano la pellicola 35 mm a formato pieno, cioè erano delle “fullframe”, tranne qualche limitata eccezione dovuta ad Olympus che produsse, nei suoi primi tempi, alcune compatte mezzo formato. Tutte quindi avevano obiettivi che coprivano il formato 24×36 e molte degli zoom con escursione focale di 2 o 3x e focale più corta in alcuni casi di 28 mm. Le loro dimensioni erano condizionate dal dover alloggiare da un lato il caricatore di pellicola 35 mm, le cui dimensioni ovviamente non erano modificabili, e dall’altro lato il rocchetto ricevente. Nonostante questo molte avevano dimensioni e peso tascabili come la Minox 35, la Rollei 35 e la Olympus XA dotate oltretutto di obiettivi di elevatissima qualità. Furono prodotte anche diverse compatte con obiettivo zoom di dimensioni tascabili, come Olympus Miu e Nikon 300G. L’unica dimensione che non poteva essere compressa più di tanto era lo spessore, mai inferiore ai 32 mm a causa del caricatore di pellicola, ma per il resto le dimensioni e il peso erano paragonabili a quelle delle compatte attuali.
Quando è iniziata l’era digitale i primi produttori presentarono dei modelli dotati di sensori molto piccoli in quanto i sensori di grandi dimensioni erano estremamente costosi e disponibili in quantità ridotte. Con i sensori piccoli inoltre agli obiettivi era richiesta una focale e un cerchio di copertura molto più ridotto e quindi risultavano meno ingombranti e meno costosi. In questo modo fu possibile produrre le prime compatte digitali ad un prezzo accettabile dal mercato. Ma sensori piccoli significa che l’immagine sul supporto sensibile (in questo caso il sensore al posto della pellicola) risulta piccola e deve essere ingrandita molto per essere visualizzata su schermo o su stampa, richiedendo agli obiettivi una risoluzione elevata che non si concilia assolutamente con la loro economicità. La maggior parte degli utenti però non si rende conto di ciò perchè visualizza le foto quasi esclusivamente sul monitor del computer e ragiona solo sul numero di megapixel, non pensando all’ingrandimento che subiscono le immagini. I sensori piccoli raccolgono poi poca quantità di luce richiedendo, se si vuole aumentarne la sensibilità per scatti in poca luce, un’elevata amplificazione del segnale che genera un elevato rumore. Il tutto si traduce in una bassa qualità d’immagine. Il mercato però si è convertito rapidamente al digitale, visti i suoi enormi vantaggi, le vendite si sono incrementate esponenzialmente, ma i clienti guardavano, tranne i più esperti, soprattutto al numero di Mpx delle fotocamere, pensando che più alto è migliore fosse la qualità delle immagini ottenibili. I produttori hanno assecondato questa tendenza producendo macchine con sempre più Mpx, ma sempre con gli stessi piccoli sensori, quindi sempre con bassa qualità d’immagine. Per avere una qualità migliore si dovrebbe aumentare la dimensione del sensore. Oggi il suo costo non sarebbe più un problema, infatti ci sono sul mercato reflex con sensori APS (23,5×15,6 mm) o 4/3 (18×13,5 mm) dal costo inferiore ai 400 €, obiettivo compreso. Una compatta con un sensore di queste dimensioni dovrebbe costare di meno visto che risparmia su tutti i meccanismi di sollevamento dello specchio e sul mirino pentaprisma. Non si tratta nemmeno, come affermano alcuni di un problema di dimensioni che gli obiettivi, e di conseguenza tutto l’apparecchio, dovrebbero assumere. Infatti abbiamo visto che pure con i vincoli della pellicola era possibile produrre delle compatte con dimensioni paragonabili a quelle digitali. Non si pretendono nemmeno delle compatte fulframe, ma almeno mezzo formato (APS) sarebbe giusto. Per i produttori presentare delle compatte con sensori di dimensioni maggiori significherebbe fare nuovi investimenti e se non c’è richiesta di mercato è chiaro che preferiscono non farlo. Quindi nessuno ne produce perchè il mercato non le richiede, preferndo avere più Mpx piuttosto che sensori più grandi con una migliore qualità di immagine e migliore resa alle basse luminosità. D’altra parte da un pubblico che spesso si accontenta di fotografare con un cellulare e di ascoltare gli MP3 cosa si può pretendere?!?
In questo quadro uniforme e desolante per adesso ci sono poche speranze di trovare una compatta, da portare sempre in tasca, che abbia la qualità di immagine di una reflex, come invece avveniva per le macchine analogiche.
Tuttavia per chi cerca una fotocamera che sia un po’ migliore della media, da portare dietro quando non vuole caricarsi della borsa con reflex e obiettivi, esistono alcune compatte che si distinguono dal mucchio anche se non soddisfano ancora completamente per la qualità d’immagine.
Prima di tutto vediamo quali caratteristiche dovrebbero avere. Per prima cosa un sensore possibilmente più grande del solito 1/2.5″ con una densità di pixel non esageratamente elevata. Un mirino, ottico o elettronico che sia, per poter scattare in pieno sole non alla cieca. Poi la possibilità di regolazione manuale o almeno a priorità di tempi o diaframmi. Infine la possibilità di salvare le foto anche in raw per poter poi modificare i parametri di ripresa in postproduzione. Sarebbe inoltre opportuno che disponessero di uno zoom più orientato sulle focali grandangolari che su quelle tele e di uno stabilizzatore d’immagine ottico per compensare la scarsa luminosità degli obiettivi e la scarsa resa alle alte sensibilità, almeno per i soggetti statici.
In realtà esistono alcune compatte che soddisfano, almeno parzialmente, a questi requisiti. L’elenco è limitato: Vediamo quali sono:

1. Canon Powershot G10
2. Fuji Finepix F60fd
3. Nikon Coolpix P6000
4. Panasonic Lumix DMC-LX3
5. Ricoh Caplio GX200
6. Ricoh GR II
7. Sigma DP1

Parlerò in dettaglio di ciascuna di queste fotocamere in futuri prossimi articoli. Si tratta comunque di compatte particolari e piuttosto costose per la loro categoria. Ma se si vuole spendere meno allora il consiglio è di prendere la più economica che trovate con stabilizzatore, come ho fatto io, spendendo solo 99 €.

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